Il delicato tema del rifiuto genitoriale: ipotesi di buone prassi procedurali

Di Centro Studi Professionale Radici Sociali. Articolo apparso su diritto.it il 5 dicembre 2022.

Il presente articolo vuole offrire un insieme di nozioni professionali trasversali e fortemente integrati in merito ai tentativi di risposta ed orientamenti risolutivi nel complesso mondo delle conflittualità separative, tenendo vivo il focus della centralità del minore. Infatti è proprio in questa dimensione che molte volte vengono innescate dinamiche da un genitore, fino a determinare modalità screditanti e demonizzanti nella coppia genitoriale, causando inevitabilmente turbamenti interiori e caos nel mondo del bambino. Il minore diventa privo di coerenza e legittimità affettiva, ma soprattutto si trova un contesto in cui non risulta in grado di amare autenticamente.

Parlare di rifiuto genitoriale conduce a chiamare in causa il dibattutissimo tema della Sindrome da Alienazione Parentale. Lungi dal dettare qui e argomentare i crismi della stessa né sposare logiche di attribuzione patologica al fenomeno, è pur vero che siamo dinanzi ad una forma di manipolazione dei figli all’interno di famiglie disfunzionali che stentano a staccarsi da logiche conflittuali. Può risultare eccessivo accostare visioni patologiche e dunque pronunciare impropriamente la parola sindrome, e tuttavia nel corso di questo elaborato vi saranno comunque dei rimandi e dei tentativi di battezzare in maniera differente tale fenomeno che inevitabilmente indirizza la casistica di molte separazioni conflittuali ad agiti alienanti e screditanti verso l’altro genitore.

Infatti è ben risaputo che l’odio risulti un vero e proprio collante, capace di unire più del sentimento d’amore stesso, tenendo la coppia genitoriale agganciata al conflitto pur di relazionarsi all’altro/a. Il rifiuto genitoriale rimarca una dinamica relazionale disfunzionale e collusiva altamente dannosa, capace di arrecare un serio malessere psico-fisico dei figli e provocando una frattura identitaria, dovuta alla perdita di un genitore che ne è l’effetto.

1. La definizione del fenomeno
Abbiamo pensato di dare la giusta rilevanza al fenomeno del rifiuto genitoriale – che oggi molti Professionisti sia della comunità giuridica che scientifica banalizzano o addirittura negano – approfondendolo in ogni suo aspetto e facendo riferimento a vari specialisti, secondo il loro ambito di competenza. Con la locuzione rifiuto genitoriale ci si riferisce ad una serie di atteggiamenti o comportamenti messi in atto dal figlio che si estrinsecano in un rigetto o negazione psicologica di un genitore per via dell’influenza dell’altro.

3. Le ricerche sulle suggestionabilità dei bambini
Tuttavia, a nostro modesto parere, negare la scientificità di un fenomeno relazionale, non equivale ad escluderlo. Negare l’effetto non si può trasporre nella non esistenza di un problema. L’assenza di un collegamento scientifico tra il rifiuto genitoriale e una patologia psico-relazionale accertabile non può tradursi nel rischio di escludere la sussistenza di condotte genitoriali tese a condizionare la libertà psicologica del figlio di autodeterminarsi. Quindi, lungi dal sottovalutare l’importanza dell’empatia o dell’ascolto rispettoso, si ritiene che un professionista possa essere empatico senza farsi soverchiare dalle dinamiche relazionali ed espressive del bambino, attuando così i dovuti accertamenti o, comunque, delegandoli alle autorità competenti, in presenza di situazioni dubbie, alla luce del fatto che i minori sono facilmente suggestionabili. Si pensi che, agli inizi del XX° secolo, venne condotta una ricerca molto interessante sulla suggestionabilità dei bambini (Binet, 1900; Varendonck, 1911). Varendonck, impegnato in qualità di esperto in un caso di omicidio, condusse una ricerca sulla testimonianza oculare dei bambini in età scolare che lo portò a concludere che, se un adulto fa domande sufficientemente suggestive, i bambini cercano di rispondere dicendo quello che l’adulto vuole sentire. Ed invero, il minore, essendo dipendente dall’adulto, avverte la necessità di compiacerlo, e ciò lo conduce a fornire a quest’ultimo la risposta attesa. Da un lato è corretto sostenere l’impossibilità di qualificare, in assenza di un valido supporto scientifico, un determinato atteggiamento come l’effetto di una sindrome; dall’altro lato tuttavia non è possibile contestare la problematica in esame collocandola in un limbo di neutralità ed, in tal guisa, non ammettendo che i comportamenti colposi (o dolosi) dei genitori siano in grado di produrre effetti potenzialmente prodromici all’insorgenza di una patologia e sicuramente condizionanti la libera autodeterminazione del minore.

4. La violenza psicologica: una regola fondamentale da accettare
La questione dirimente consiste nell’accettare una regola fondamentale: un atto di violenza psicologica posto in essere da uno dei genitori, che si traduce in un condizionamento delle scelte del minore, non è per forza un atto tangibile esteriormente riconoscibile. In altri termini, non è possibile far discendere dall’assenza di prove scientifiche, l’ammissione o meno della presenza di un fenomeno psicologico destinato a trasformarsi, in difetto di interventi tempestivi, in una patologia ben più seria. Non può altresì un concetto nozionistico impedire un intervento pratico a difesa e tutela dei minori vittime degli umori degli adulti, poiché anche senza identificarla come sindrome, patologia o disturbo relazionale, il “rifiuto genitoriale” si traduce in una situazione piuttosto frequente, stagliandosi in un contesto di separazione familiare in cui entrano in gioco emozioni e sentimenti che portano gli adulti ad individuare priorità sbagliate.

5. Le ansie del genitore alienante
Trattandosi, dunque, di genitori separati che hanno perso la fiducia l’uno nell’altro, si pone la seguente questione: il rifiuto genitoriale deriva dalle preoccupazioni apparentemente attestate del genitore prediletto o è il fine delle sue ansie inquisitorie che conducono alle accuse? In quest’ultimo caso, si tenderebbe a ritenere il rifiuto genitoriale come già esistente e inevitabilmente orientato verso la falsa accusa. La nostra valutazione, invece, lungi dal voler individuare un comportamento doloso, nella maggioranza dei casi, spiega il suddetto fenomeno come causato dalle ansie del genitore alienante. E del resto è sufficiente ritenere che il bambino non si adatti presso l’altro genitore perché il processo si metta in moto.

6. La giurisprudenza prevalente
D’altronde, per la giurisprudenza prevalente la locuzione “rifiuto genitoriale” identifica un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale; condotte che non necessitano dell’elemento psicologico del dolo essendo sufficiente la colpa o la radice anche patologica delle condotte medesime (Cass. Civ. Sez. I, sentenza 20 marzo 2013 n° 7041, Trib. Milano 13 ottobre 2014). Alla luce di ciò, resta saldo il principio cardine del nostro ordinamento ma anche di quelli più evoluti a livello internazionale che prevede il superiore interesse del minore, così come sancito a livello mondiale dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia (art. 3) e dall’art. 337-ter del Codice civile italiano. Tale principio impone che nelle decisioni che lo riguardano, di fronte a un contrasto di interessi genitore – figlio, prevalga sempre quello del minore. La tutela del minore deve assumere sempre valore primario e l’astratta presenza del disagio non può essere posta, in maniera automatica, a fondamento di un provvedimento di decadenza dalla potestà, essendo necessaria una scelta giudiziale ponderata e verificata anche alla luce di tutte le eventuali censure e contraddizioni mosse dalle parti processuali o rilevabili nella comunità scientifica.

7. Falsificazioni e contraddizioni
Se risulta abbastanza vero, come diceva Dostoevskij, che gli uomini sono atavicamente creati per tormentarsi vicendevolmente, altrettanto lo si potrebbe affermare circa le separazioni conflittuali, se non altro perché le relative dinamiche che le innescano poggiano il loro significato su di un nuovo processo di costruzione individuale e sui percorsi identitari della coppia. Nei convegni e approfondimenti effettuati si è notato per cominciare come tante situazioni cliniche che hanno riguardato la fenomenologia della conflittualità familiare facciano emergere la falsificazione come canale di regia determinante la qualità di vita di un nucleo familiare e le interazioni tra i suoi membri. È proprio in questa dimensione che si generano percezioni differenti, ma anche pensieri, aspirazioni, desideri e progettualità che rimangono purtroppo individuali e non condivise. Si arriva a donare in eredità ai figli un funzionamento quotidiano basato sull’aggressività, sul caos e le contraddizioni, facendo subire ai figli una devastazione interiore che non rende possibile scegliere liberamente, amare autenticamente e vivere le relazioni di cura con i propri riferimenti più cari in maniera leggera.

8. L’importanza del lavoro di rete
Sarà proprio questa un’importante occasione per proporre le dovute riflessioni nella dicotomia tra verità e bugia, tra rappresentazione e narrazione, comprendendo come tali elementi giochino un ruolo fondamentale nei processi di costruzione identitaria, giungendo dunque alla vita adulta e misurando la capacità di aver assolto ai compiti evolutivi durante lo sviluppo delle varie fasi della vita.  Uulteriore approfondimento parallelo che indubbiamente si innesca all’interno di un panorama del genere è il rapporto di interconnessione esistente tra i servizi territoriali coinvolti e che è necessario trattare. Autorità Giudiziaria, Servizi Sociali, Consultorio, Scuola, Educativa Domiciliare e così via, tutti unanimemente legati da un filo rosso che si chiama “benessere del minore”, ma che allo stesso tempo, come risorse hanno il dovere di confrontarsi con gli onnipresenti limiti, con le tempistiche delle risposte erogate, con la burocrazia delle delibere  e carenze economiche per le coperture dei servizi in una realtà fatta di risorse umane insufficienti, tempi ristretti, liste d’attesa e appalti da rinnovare. Al netto delle difficoltà gestionali esistenti quindi, essere e lavorare in rete può costituire l’unica risposta che consente di non abbandonare il nucleo e tenere vivo il superiore interesse del minore.

9. Conclusioni
Coinvolgere la coppia genitoriale in tutte le fasi del trattamento ed accogliere la stessa in colloqui congiunti anche tra i diversi servizi incaricati può rappresentare un tentativo di risposta funzionale al contenimento del conflitto, sposando la trasparenza delle azioni e delle decisioni da prendere, nella maniera più concertata possibile. Tutto ciò grazie ad un lavoro multidisciplinare argomentato in maniera eterogenea considerando le varie posizioni professionali coinvolte, tra cui l’Assistente Sociale, l’Educatore Professionale, lo Psicologo, il Pedagogista, l’Avvocato, il Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni, ed i servizi tutti. Essi devono sforzarsi di costruire una progettualità condivisa, senza mai perdere di vista il reale bisogno del minore e adottando strumenti di lavoro e metodologie chiare, di valore scientifico, che restituiscano credito e trasparenza al trattamento clinico, sociale e giuridico che si decide di portare avanti.